Come ogni procedura di radiologia interventistica (drenaggi delle vie biliari, angioplastiche arteriose e venose, vertebroplastiche ecc) anche la procedura di embolizzazione del fibroma uterino viene eseguita mediante l’utilizzo della guida fluoroscopica (metodica di radiologia o imaging che si avvale dell’utilizzo in continua di un fascio di raggi X che penetrando il segmento corporeo interessato ne mostra in tempo reale e in modo assolutamente dettagliato l’anatomia ed i movimenti).
Specificatamente, il trattamento di embolizzazione del fibroma uterino consiste nel totale e permanente blocco dell’apporto ematico (o rifornimento sanguigno) dell’utero attraverso l’avanzamento di un piccolo catetere di plastica (in pratica un tubicino) che il radiologo inserisce, dopo una semplice e rapida anestesia locale, con una piccola puntura indolore (non viene eseguito alcun taglio con il bisturi) in un arteria localizzata all’inguine (specificatamente si tratta dell’arteria femorale).
Il piccolissimo tubicino o catetere con uno spessore di circa 1,5-2 mm (i cui movimenti sono costantemente monitorizzati dal radiologo interventista mediante uno schermo collegato all’apparecchio a raggi X) viene poi facilmente veicolato dall’arteria femorale in arteria uterina destra e successivamente in quella di sinistra. A questo punto, si iniettano delle particolari e specifiche particelle sferiche di piccolissime dimensioni (chiamate appunto materiale embolizzante) che ne comportano l’immediata e definitiva occlusione.
Il fibroma, in assenza del normale apporto di sangue, va rapidamente incontro ad una riduzione nelle dimensioni mentre l’utero mantiene la sua normale funzionalità nel tempo. L’intervento ha una durata che varia dai 20 ai 40 minuti, in relazione all’esperienza dell’operatore. È infatti estremamente importante sottolineare che un tempo di scopia (esposizione ai raggi X) limitato (appena qualche minuto) non comporta alcun tipo di danno biologico per la paziente risultando in una dose radiogena sovrapponibile ad un normale esame diagnostico dell’addome (RX diretta addome).
Il rischio di un infezione locale o generalizzata legato all’esecuzione della procedura ed il rischio di trasfusioni ematiche post intervento sono praticamente nulli.
Dopo la procedura il paziente rimane ricoverato 48 ore per il trattamento del dolore post operatorio che, sebbene può essere presente per circa 24 ore, è generalmente ben controllato dalla terapia farmacologica. Può presentarsi nei giorni successivi un leggero senso di affaticamento e un lieve aumento della temperatura corporea. In qualche caso possono verificarsi anche dei lievi sanguinamenti che tendono comunque a scomparire nei mesi successivi. Quando i fibromi hanno un diametro di 10-18 cm è possibile osservare una sintomatologia ritardata in 3°-5° giornata, caratterizzata da dolore pelvico-addominale associato a reazione peritoneale, nausea e febbre.
Tale sintomatologia persiste qualche giorno e assomiglia a una complicanza spontanea dei fibromi: la necrosi asettica.
La procedura, come già sottolineato, richiede una degenza di circa 48 ore con tempi di recupero che si aggirano intorno 3-5 giorni. La paziente sarà controllata entro 3 mesi dopo aver eseguito un eco-color-doppler. L’efficacia del trattamento è valutata con: anamnesi ed esame obiettivo, tesi a verificare l’evoluzione della sintomatologia emorragica e compressiva; emocromo, per monitorare l’anemia, eco-color-doppler o RM per seguire la riduzione del volume del fibroma e la scomparsa della rete vascolare peritumorale.
In alcune donne può comunque rendersi necessario un successivo intervento chirurgico (la paziente può non rispondere alla terapia, o rispondere solo parzialmente) ma in centri di comprovata esperienza, grazie anche ad un’attenta e scrupolosa selezione dei casi, ciò si verifica in meno del 1% delle pazienti. È tuttavia importante sottolineare che questa percentuale può salire notevolmente (10%-25%) nel caso vengano eseguite procedure di embolizzazione in pazienti trattati in centri con esperienza iniziale o limitata (esperienza dell’operatore inferiore a 400 casi di embolizzazione delle arterie uterine).
Infine è fondamentale sottolineare che l’intervento di embolizzazione non preclude in maniera più assoluta la fertilità. Sono infatti ormai molte le testimonianze di pazienti trattati con embolizzazione che riportano una o più gravidanze dopo l’intervento.
Una volta eseguito l’intervento, è strettamente necessario che il paziente si sottoponga a dei controlli periodici (Ecografia o Risonanza Magnetica) anche a sei mesi, un anno e due anni di distanza dalla procedura per valutare i risultati ottenuti ed escludere recidive potenziali o in atto.
L’efficacia sulle menometrorragie può anche essere immediata, mentre per apprezzare la riduzione volumetrica del fibroma uterino bisogna attendere 4-6 mesi: il processo inizia non prima di 2-3 settimane e prosegue per 8-12 mesi soprattutto per i fibromi di notevoli dimensioni.
In conclusione, ad oggi l’embolizzazione uterina è da considerarsi tecnica estremamente efficace e gravata da una percentuale di complicanze bassissime, praticamente nulle, se comparata con le altre tecniche per il trattamento del fibroma.
È infatti ormai universalmente riconosciuto che l’embolizzazione è tecnica ESTREMAMENTE SICURA che, in mani esperte, non richiede mai trasfusioni o successivi interventi chirurgici in urgenza e, inoltre, non compromette in alcun modo la fertilità. È tuttavia di fondamentale importanza sottolineare che la riuscita dell’intervento è strettamente correlata all’esperienza dell’operatore che la esegue.