Il numero di angioplastiche del distretto periferico per la rivascolarizzazione di una arto ischemico ha mostrato un forte incremento negli ultimi anni. I pazienti diabetici con ischemia critica dell’arto inferiore presentano una maggiore localizzazione delle lesioni a livello infrapopliteo rispetto ai non-diabetici oltre che lesioni concomitanti anche a livello femoro-popliteo.
L’angioplastica transluminale (PTA) è ormai utilizzata di routine in molti centri italiani ed esteri ma il suo ruolo, in particolare a livello infrapopliteo, deve ancora essere ben definito. Specificatamente, l’esecuzione di successo di un’angioplastica di almeno un vaso di gamba non garantisce sempre il salvataggio dell’arto affetto, richiedendo in certi casi un amputazione sopra la caviglia. Il fallimento clinico di un’angioplastica del distretto sottogenicolare non dipende quindi necessariamente dal tipo di tecnica endovascolare utilizzata; sono infatti molti i fattori di tipo prettamente clinico associati ad un eventuale mancata guarigione di un arto trattato con successo mediante rivascolarizzazione endovascolare.
È comunque fondamentale sottolineare l’estrema importanza di una tecnica di rivascolarizzazione endoluminale appropriata. In mani esperte l’angioplastica del distretto arterioso degli arti inferiori ed in particolare del distretto infrapopliteo risulta in molti pazienti evento chiave per determinare l’ esito finale (amputazione o guarigione) a cui il paziente andrà incontro. In questa ottica la buona esperienza dell’operatore associata alla capacità di rivascolarizzare in maniera efficace anche più di un vaso di gamba nello stesso arto può comportare un drastico aumento del successo clinico, particolarmente se al trattamento dei vasi tibiali viene associata, quando necessaria, una rivascolarizzazione efficace dei vasi al piede.
Scopo di questo capitolo è descrivere le tecniche endovascolari di scelta nel trattamento della rivascolarizzazione delle arterie di gamba e del piede nel paziente affetto da ischemia critica degli arti inferiori. Verranno infine riportati e discussi i risultati del nostro centro nel trattamento del distretto infrapopliteo del paziente diabetico con CLI
Tecnica
Accesso arterioso
Nel trattamento endovascolare del paziente con lesioni sotto-genuali il maggior tasso di complicanze peri e post operatorio è indiscutibilmente dovuto all’ accesso vascolare, in particolare alle manovre di chiusura dello stesso. La descrizione della tecniche endovascolare per il trattamento di rivascolarizzazione dei vasi di gamba e del piede non può quindi prescindere da un breve accenno all’approccio vascolare, inteso principalmente come scelta del sito di puntura oltre che dal necessario approfondimento delle possibili strategie di avvicinamento alla patologia sottogenicolare.
A differenza dall’accesso controlaterale, molto più fluida quindi appare la manovra quando il vaso di accesso risulta essere l’arteria femorale comune omolaterale alla lesione (acesso femorale anterogrado). In caso di arteria femorale comune marcatamente calcifica o in presenza di pazienti con addome globoso, la puntura anterograda dell’arteria femorale comune può tuttavia risultare di difficile esecuzione oltre che a rischio di sanguinamento al momento della chiusura del vaso (sia che questa avvenga mediante compressione manuale che mediante l’utilizzo di un device d’emostasi meccanica) o anche a distanza di qualche ora. In questo scenario, può quindi essere indicata la puntura direttamente in arteria superficiale (se però esente da stenosi al suo terzo prossimale).
Nella nostra esperienza l’accesso in arteria femorale superficiale, sebbene sconsigliato da molti autori per l’indiscutibile impossibilità di eseguire una compressione manuale su una solida base d’appoggio (la compressione dell’arteria femorale comune infatti si avvale della presenza della testa del femore che ne impedisce involontari slittamenti durante le manovre compressive), non ha mostrato un significativo aumento delle complicanze rispetto a quelle da puntura dell’ arteria femorale comune. Ciò può tuttavia, essere imputato anche al sempre più frequente utilizzo di sofisticati device da emostasi che sembrerebbero ridurre le complicanze correlate all’accesso (in particolare grandi ematomi e pseudoaneurismi).
Indipendentemente dal fatto che la puntura venga eseguita in arteria femorale comune o superficiale un accesso anterogrado ha il vantaggio di consentire il raggiungimento dei vasi infrapoplitei in modo diretto e sicuramente più immediato rispetto a quello controlaterale. Inoltre, l’accesso anterogrado permette sicuramente una maggiore spinta nel superamento delle lesioni tibiali, in particolare delle ostruzioni calcifiche; queste, molto spesso, possono una volta negoziate con la guida esercitare un forte impedimento al passaggio del catetere a palloncino. La possibilità quindi di accedere direttamente e con maggiore fluidità di manovra alle lesioni sottogenicolari, unitamente all’utilizzo di materiale con shaft di lunghezza spesso minore di 135 cm, appare in definitiva di estremo vantaggio nel trattamento del paziente con CLI. Tuttavia, come gia specificato, tale approccio può essere controindicato in tutti quei paziente, ed in particolare nei pazienti diabetici, che presentano affezioni vascolari multiple dell’asse iliaco-pedidio. Specificatamente, tale approccio risulta indicato allorchè non siano presenti affezioni vascolari emodinamicamente significative dell’asse iliaco e di quello femorale comune omolaterali ai vasi di gamba da trattare. Infine, molto spesso, anche un ostruzione all’origine (o a meno di 5 cm da questa) dell’arteria femorale superficiale può severamente controindicare un accesso anterogrado in quanto lo spazio a disposizione per inserire l’introduttore (in arteria femorale comune) dopo puntura del vaso potrebbe non essere sufficiente.
Infine, è doveroso fare un breve accenno ad ulteriori accessi vascolari potenzialmente utili per il trattamento dei vasi di gamba e del piede; mentre l’accesso in arteria brachiale o ascellare appare significativamente inficiato dalla totale mancanza in commercio di materiale di lunghezza superiore ai 150 cm che non permette quindi il raggiungimento del terzo medio-distale di gamba, un accesso retrogrado con puntura diretta dei vasi del piede o alla caviglia, recentemente descritto da alcuni autori (tecnica SAFARI), potrebbe risultare di qualche utilità. Secondo alcuni autori infatti, tale approccio risulterebbe utile particolarmente per ostruzioni complete a livello della triforcazione dei vasi di gamba. La possibilità di risalire per via retrograda dal piede o dalla caviglia fino al ginocchio sembrerebbe poter garantire una rivascolarizzazione altrimenti non possibile per via anterograda. È opinione degli autori di questo capitolo che la tecnica SAFARI, nonostante possa essere di reale ausilio in pazienti con ostruzioni serrate a livello della triforcazione, non debba comunque essere eseguita come approccio di scelta dovendo invece essere riservata per quelle situazioni dove ripetuti tentavi di rivascolarizzazione per via anterograda siano risultati inefficaci. Quando eseguita, infine, è altamente consigliabile un isolamento di tipo chirurgico del vaso d’accesso così da evitare la puntura diretta dell’ arteria, manovra di non facile esecuzione e gravata da complicanze potenzialmente catastrofiche come la dissecazione del vaso , spesso l’unico presente sotto il ginocchio.
Rivascolarizzazione
Sebbene si stia assistendo nell’ultimo periodo ad un progressivo incremento dell’utilizzo sul mercato, principalmente d’oltreoceano, di alcuni dispositivi di disostruzione arteriosa di tipo meccanico (aterotomi) il trattamento mediante ricanalizzazione guida-catetere a palloncino rimane ancora la procedura di scelta e di gran lunga più eseguita nel distretto sottogenicolare in in Italia e all’estero. Naturalmente, quest’ultima tecnica ha visto nel tempo numerosi cambiamenti ed innovazioni a partire dal materiale dedicato utilizzato. Infatti, se negli anni 80-90 la tecnica di angioplastica transluminale dell’asse iliaco-femorale e, sebbene in modo limitato, di quello sottogenicolare veniva eseguita mediante l’utilizzo di guide da ricanalizzazione idrofile (Glidewire 0.035, Terumo, Japan) e palloncini 0.035, nell’ultimo quinquennio si è progressivamente rafforzato il concetto che per lesioni infrapoplitee l’utilizzo di materiale di tipo “ coronarico” sia più indicato, potendo garantire un migliore risultato tecnico finale. In effetti, l’utilizzo di guide 0.014 (PT graphic 0.014, Boston Scientific USA) e di palloncini dedicati ha consentito sicuramente una migliore negoziazione delle lesioni, specificatamente nei distretti con vasi inferiori anche ai 2 mm come l’avampiede.
A nostro giudizio, tuttavia, il raggiungimento dei risultati tecnici migliori in termini di ricanalizzazione completa di lesioni di gamba e al piede può essere raggiunto mediante utilizzo di guide e palloncini da ricanalizzazione 0.018 ( V18, Boston Scientific, USA). Mentre , infatti, l’utilizzo di una guida 0.035 risulta in molti casi di dimensioni troppo aumentate per la ricanalizzazione di steno-occlusioni spesso calcifiche, le guide 0.014, sebbene di spessore estremamente ridotto, possono trovare impedimento al passaggio in considerazione della loro ridotta forza di spinta. Un buon compromesso quindi, risulta essere l’utilizzo di una guida V18 che associa uno spessore comunque limitato ad una ottima forza di spinta durante l’attraversamento delle lesioni.
Questa guida, inoltre, è composta da una porzione distale (preformabile) molto flessibile e da uno shaft metallico molto resistente che né consente un facile avanzamento. In caso di lesioni difficilmente negoziabili con guida V18 è comunque possibile utilizzare sempre una guida 0.018 idrofilica (Glidewire 0.018 Terumo, Japan) sicuramente molto più direzionabile della prima ma che purtroppo presenta scarsa visibilità oltre che una forza di spinta non eccezionale. Sebbene comunque questa guida possa in determinati casi consentire l’attraversamento di stenosi serrate, la presenza di uno shaft morbido limita in alcune situazioni l’avanzamento del palloncino su di essa, rendendo quindi di fatto a volte difficile o addirittura impossibile il pallonamento della lesione già completamente negoziata dalla guida stessa. Alla luce di quanto appena detto, resta quindi da sottolineare che l’utilizzo di un sistema guida 0.014- catetere a palloncino (Amphirion, Invatec, I – Ultrasoft, Boston Scientific, USA) può essere in più di un caso estremamente determinante per il conseguimento del risultato finale, specialmente nel distretto vascolare alla caviglia e al piede dove l’avanzamento di cateteri a palloncino 0.018 attraverso lesioni serrate e calcifiche può fallire o risultare molto difficoltoso. In particolare, l’utilizzo di cateteri 0.014 a spessore estremamente ridotto come l’Amphirion ha notevolmente migliorato il risultato tecnico dell’angioplastica nei distretti più periferici. Questo palloncino tuttavia, appare sensibilmente meno resistente dei corrispettivi 0.018, pertanto richiede un pressione di insufflazione che, particolarmente in vasi calcifici, non superi le 16 atmosfere unitamente ad una maggiore attenzione nelle manovre di avanzamento e rimozione dello stesso.
In ultimo, ma non certo per importanza, desideriamo fare un accenno alla tecnica che più negli ultimi tempi ha assunto un ruolo di rilievo nel trattamento dellelle affezioni vascolari nel paziente con CLI: l’angioplastica subintimale. Questa tecnica, sviluppata a Leicester, Inghiltera, fin dai primi anni 90 ha sicuramente consentito un drastico aumento del successo tecnico e probabilmente clinico (dati in fase di studio) nel nostro centro. Esperienze di altri centri riportate in letteratura, sebbene ancora abbastanza limitate in termini di numero di pazienti trattati e periodo di follow-up, sembrerebbero validarne l’efficacia clinica, particolarmente nel distretto di gamba. Sicuramente questa tecnica consente di rivascolarizzare lesioni ostruttive, anche molto lunghe, (nell’ordine di 15-25 cm) altrimenti impossibili mediante l’utilizzo delle normali tecniche di rivascolarizzazione endoluminale.
Anche in caso di angioplastica subintimale (la tecnica consiste nello scollamento prossimale alla ostruzione dell’intima dalla media per poi creare un vero e proprio neolume da dilatare fra queste 2 tonache previo rientro nel lume”vero” distalmente alla lesione) è opinione dei presenti autori che l’utilizzo di una guida V18 sia il più indicato nella rivascolarizzazione delle lesioni infrapoplitee. Come noto, è necessario creare con la punta della guida un loop che permetta un facile scollamento delle tonache evitando così la perforazione dell’arteria, probabile in assenza di loop (e in particolare quando la tecnica è eseguita come in alcuni centri con guida idrofilica 0.035). Per lesioni estremamente calcifiche, a nostro avviso, può essere in casi selezionati anche indicata l’asportazione dei primo centimetro-centimetro e mezzo della punta della guida V18, in modo da rinforzare il loop da dissezione, facilitando cosi l’avanzamento ed il successivo rientro. A volte la presenza di calcificazioni marcate alla caviglia può letteralmente impedire il “rientro”. In tale caso appare necessaria un’attenta valutazione dello stato clinico del paziente. Questo, nei casi meno compromessi, potrebbe quindi semplicemente richiedere l’interruzione della procedura avendo magari il tentativo fin qui eseguito portato comunque alla riapertura di alcuni rami collaterali. In situazioni di vera emergenza invece, la necessità di rivascolarizzare in modo completo ed efficace un vaso di gamba (spesso, sebbene diffusamente malacico, l’unico presente) può inevitabilmente richiedere di tentare la manovra di rientro in un vaso del piede in modo da garantire, in caso di successo, flusso diretto fino a tale livello.
Tuttavia, l’ipotetico (e non solo) rischio, specialmente in mani poco esperte, è quello di compromettere quel residuo di vascolarizzazione distale fino a quel momento comunque presente, peggiorando quindi, anche in modo significativo, il già non poco delicato stato clinico dell’arto. Infine, è estremamente utile tenere presente che per una efficace e corretta rivascolarizzazione subintimale è altamente consigliabile la somministrazione di un bolo di eparina (in base al peso del paziente, generalmente 5000 UI) prima di cominciare la manovra di dissezione, in modo da evitare spiacevoli trombosi del neo lume durante le manovre di avanzamento guida e di pallonamento.
In caso di perforazione del vaso durante angioplastica subintimale, sarà sufficiente applicare un bendaggio stretto al punto di rottura associato, a seconda dei casi, ad una antagonizzazione dell’eparina in circolo mediante somministrazione di solfato di protamina (1 milligrammo di protamina x 100 UI di eparina). Nella nostra esperienza, l’embolizzazione con spirali post rottura da angioplastica subintimale è risultata essere necessaria in un numero molto limitato di pazienti, e generalmente solamente per rotture a livello dell’origine della tibiale anteriore o del tronco tibio peroniero.