L’embolizzazione del fibroma o fibromioma uterino si sta sempre maggiormente confermando dalla metà degli anni ’90 come valida e sicura alternativa terapeutica alla chirurgia vista ormai la chiara evidenza della sua validità nel curare in maniera permanente e definitiva i fibromi.
Differentemente da altre tecniche chirurgiche consente di preservare l’utero in assenza di tutte quelle problematiche e potenziali complicanze correlate ai trattamenti convenzionali. Oltreoceano, in particolare negli USA, l’embolizzazione del fibromioma è considerata la metodica di scelta, ancor prima della rimozione chirurgica della patologia (definita in termini tecnici miomectomia). Questa metodica così mininvasiva (si esegue attraverso un forellino in una arteria inguinale dove si introduce una sottilissima sondina di plastica di 1,6 mm che viene poi veicolata fino al circolo arterioso dell’utero) è effettuata in anestesia locale o in casi selezionati in anestesia epidurale e permette una marcata e definitiva riduzione delle dimensioni del fibromioma in più del 97% dele donne con conseguente cessazione definitiva della sintomatologia correlata (senso di pesantezza, emorragie, dolore, incontinenza etc).
IL PERCORSO
Le donne sono inizialmente visitate dal ginecologo (per un corretto inquadramento clinico allo scopo di poter escluderela presenza di altre patologie: in presenza di menometrorragie a valutarne esattamente l’entità e la durata. Il ginecologo dovrà valutare una serie di parametri ed in particolare la ferritinemia, la sideremia, l’emocromo oltre a richiedere un pap test ed una ecografia pelvica se non di recente esecuzione).
Successivamente l’anestesista provvederà a valutare la paziente per l’eventuale intervento ed infine sarà il radiologo interventista ad esaminare il caso in modo anche da poter illustrare pienamente e con dovizia di particolari la situazione alla paziente. Il radiologo dovrà inoltre illustrare alla paziente tutte le specifiche tecniche del caso. Verrà infine sottoposta alla paziente una informativa con tutte le specifiche dell’intervento.
Terminato il colloquio con tutti i componenti del Team, la paziente viene ammessa in clinica il giorno prima del trattamento per l’esecuzione degli esami ematici (emocromo, gruppo sanguigno, tempo di Quick, PTT, PT, tempo di emorragia, CPK, ed altro) e strumentali. Resterà poi senza assumere cibo dalla mezzanotte del giorno precedente per poi essere trasportata in sala angiografica la mattina successiva.
EMBOLIZZAZIONE. COSA È E COME SI SVOLGE
Come ogni procedura di radiologia interventistica (drenaggi delle vie biliari, angioplastiche arteriose e venose, vertebroplastiche ecc) anche la procedura di embolizzazione del fibroma uterino viene eseguita mediante l’utilizzo della guida fluoroscopica (metodica di radiologia o imaging che si avvale dell’utilizzo in continua di un fascio di raggi X che penetrando il segmento corporeo interessato ne mostra in tempo reale e in modo assolutamente dettagliato l’anatomia ed i movimenti).
Specificatamente, il trattamento di embolizzazione del fibroma uterino consiste nel totale e permanente blocco dell’apporto ematico (o rifornimento sanguigno) dell’utero attraverso l’avanzamento di un piccolo catetere di plastica (in pratica un tubicino) che il radiologo inserisce, dopo una semplice e rapida anestesia locale, con una piccola puntura indolore (non viene eseguito alcun taglio con il bisturi) in un arteria localizzata all’inguine (specificatamente si tratta dell’arteria femorale).
Il piccolissimo tubicino o catetere con uno spessore di circa 1,5-2 mm (i cui movimenti sono costantemente monitorizzati dal radiologo interventista mediante uno schermo collegato all’apparecchio a raggi X) viene poi facilmente veicolato dall’arteria femorale in arteria uterina destra e successivamente in quella di sinistra. A questo punto, si iniettano delle particolari e specifiche particelle sferiche di piccolissime dimensioni (chiamate appunto materiale embolizzante) che ne comportano l’immediata e definitiva occlusione.
Il fibroma, in assenza del normale apporto di sangue, va rapidamente incontro ad una riduzione nelle dimensioni mentre l’utero mantiene la sua normale funzionalità nel tempo. L’intervento ha una durata che varia dai 20 ai 40 minuti, in relazione all’esperienza dell’operatore. È infatti estremamente importante sottolineare che un tempo di scopia (esposizione ai raggi X) limitato (appena qualche minuto) non comporta alcun tipo di danno biologico per la paziente risultando in una dose radiogena sovrapponibile ad un normale esame diagnostico dell’addome (RX diretta addome). Il rischio di un infezione locale o generalizzata legato all’esecuzione della procedura ed il rischio di trasfusioni ematiche post intervento sono praticamente nulli.
Dopo la procedura il paziente rimane ricoverato per due giorni per il trattamento del dolore post operatorio che sebbene può essere presente per circa 24-48 ore è generalmente ben controllato dai farmaci. Può presentarsi nei giorni successivi un leggero senso di affaticamento e un lieve aumento della temperatura corporea. In qualche caso possono verificarsi anche dei lievi sanguinamenti che tendono comunque a scomparire nei mesi successivi. Quando i fibromi hanno un diametro di 10-18 cm è possibile osservare una sintomatologia ritardata in 3°-5° giornata, caratterizzata da dolore pelvico-addominale associato a reazione peritoneale, nausea e febbre.
Tale sintomatologia persiste qualche giorno e assomiglia a una complicanza spontanea dei fibromi: la necrosi asettica. La procedura, come già sottolineato richiede una degenza di circa 48 ore con tempi di recupero che si aggirano intorno 3-5 giorni. La paziente sarà controllata entro 3 mesi dopo aver eseguito un eco-color-doppler. L’efficacia del trattamento è valutata con: anamnesi ed esame obiettivo, tesi a verificare l’evoluzione della sintomatologia emorragica e compressiva; emocromo, per monitorare l’anemia, e CPK per verificare la correlazione tra caduta dei tassi di CPK e riduzione volumetrica del fibroma; eco-color-doppler per seguire la riduzione del volume del fibroma e la scomparsa della rete vascolare peritumorale.
In alcune donne può comunque rendersi necessario un successivo intervento chirurgico (la paziente può non rispondere alla terapia, o rispondere solo parzialmente ) ma in centri di comprovata esperienza, grazie anche ad un’attenta e scrupolosa selezione dei casi, ciò si verifica in meno del 1% delle pazienti.
È tuttavia importante sottolineare che questa percentuale può salire notevolmente (10%-12%) in caso vengano eseguite procedure di embolizzazione in pazienti trattati in centri con esperienza iniziale o limitata. Infine è fondamentale sottolineare che l’intervento di embolizzazione non preclude in maniera più assoluta la fertilità. Sono infatti ormai molte le testimonianze di pazienti trattati con embolizzazione che riportano una o più gravidanze dopo l’intervento.
Una volta eseguito l’intervento è strettamente necessario che il paziente si sottoponga a dei controlli periodici (Ecografia o Risonanza Magnetica) a sei mesi, un anno e due anni di distanza dalla procedura per valutare i risultati ottenuti ed escludere recidive potenziali o in atto. L’efficacia sulle menometrorragie è immediata, mentre per apprezzare la riduzione volumetrica del fibroma uterino bisogna attendere 4-6 mesi: il processo inizia non prima di 2-3 settimane e prosegue per 8-12 mesi soprattutto per i fibromi di notevoli dimensioni.
In conclusione, ad oggi l’embolizzazione uterina è da considerarsi tecnica estremamente efficace e gravata da una percentuale di complicanze bassissime, paraticamente nulle, se comparata con le altre tecniche per il trattamento del fibroma. È infatti ormai universalmente riconosciuto che l’embolizzazione è tecnica ESTREMAMENTE SICURA che, in mani esperte, non richiede mai trasfusioni o successivi interventi chirurgici in urgenza e, inoltre, non compromette in alcun modo la fertilità.
RISULTATI
Ad oggi, il numero delle pazienti embolizzate è costantemente in aumento. Secondo le più recenti casistiche la sintomatologia correlata al fibroma (incontinenza urinaria, menorragia, senso gravativo addomino-pelvico ) scompare nel 83-98% delle pazienti trattate con embolizzazione.
Ad un anno dal trattamento di embolizzazione le dimensioni complessive dell’utero si riducono mediamente di almeno il 50%. In alcuni casi è possibile osservare la completa e definitiva regressione della massa tumorale. È tuttavia importante sottolineare che in alcune casistiche viene riportata dagli autori una risposta parziale al trattamento, una ricrescita dei fibromi trattati o la crescita di nuovi fibromi (6-9% dei casi). Questo tasso di recidiva di malattia è sensibilmente inferiore in centri di comprovata esperienza con tassi di recidiva limitati a qualche caso sporadico.
Il tasso di complicanze maggiori dopo embolizzazione è molto limitato, < al 1% in centri di provata esperienza. L’amenorrea temporanea o permanente risulta essere pari a circa il 5% e il 2% rispettivamente, ed è complicanza maggiormente presente nelle pazienti di età superiore ai 50 anni mentre risulta essere estremamente rara in donne con eta’ inferiore ai 35 anni (incidenza pari allo 0,03%).
Se poi vengono comparate le possibili complicanze dell’embolizzazione con quelle delle altre tecniche per il trattamento chirurgico (isterectomia, miomectomia per via laparoscopica o laparotomica) o mininvasivo del fibroma uterino, l’embolizzazione risulta in assoluto la tecnica gravata dalle minori complicanze sia in sede di intervento che nel post operatorio.
È opinione comune ormai che per il bassissimo tasso di invasività di questa tecnica che per l’alto successo tecnico (in assenza di vere complicanze), l’embolizzazione si appresti a diventare la prima opzione per il trattamento del fibroma e della fibromatosi uterina anche in Europa, come del resto sta ormai accadendo negli USA dove questa tecnica è ormai ampiamente diffusa.
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