Il Fibroma Uterino

Il Fibroma Uterino

Diagnosi e trattamento del più comune tumore benigno dell'utero.

Il fibromioma uterino, leiomioma, mioma o semplicemente fibroma è il più comune tumore benigno dell’utero. È una formazione solida, che si sviluppa a carico della muscolatura liscia della parete uterina. Può localizzarsi all’interno del viscere (cavità endometriale), nello spessore della sua parete muscolare (miometrio) o spingersi verso la superficie esterna. La crescita dei fibromi è ormonodipendente essendo infatti correlata alla secrezione ormonale ovarica e precisamente alla sua componente estrogena.

Dopo la menopausa (dove si verifica una drastica caduta dei livelli degli estrogeni) i fibromi tendono perciò a regredire spontaneamente, e con loro la sintomatologia ad essi associata. Il fibroma uterino colpisce circa il 25% delle donne in età fertile (tuttavia più del 50% delle donne affette non ha alcun disturbo legato a questa patologia). In particolare, nelle le donne di origine Afro-Caraibica, la presentazione tende ad avvenire non infrequentemente anche sotto i 30 anni. Più fibromi possono colpire la stessa paziente (fibromatosi) e le loro dimensioni possono inoltre variare da quelle di un pisello fino ad una massa che occupa l’intero addome.

Come già specificato, la maggior parte dei fibromi non comporterà sintomi e perciò non richiederà alcun intervento terapeutico; il trattamento dei fibromiomi si mostrerà necessario se la loro crescita diventa rilevante al punto da provocare disturbi vari, in particolare un senso gravativo all’addome che gli anglosassoni hanno propriamente definito con il termine di “bulky symptom”, algie o dolori pelvici localizzati o diffusi, effetto compressivo su organi circostanti come la vescica e l’intestino (la donna generalmente riferisce, in presenza di fibromi di dimensioni molto aumentate, continuo senso di pesantezza al ventre, mal di schiena, crampi addominali, continui e reiterati stimoli ad urinare soprattutto di notte, incontinenza, stitichezza). Il loro trattamento può rendersi assolutamente necessario quando mostrano una rapida e continua crescita, si rendono responsabili di perdite emorragiche (menometrorragia) o di sanguinamenti prolungati dopo il ciclo mestruale (menorragia) o infine, se la loro presenza e fortemente indiziata per aver comportato uno o addirittura più aborti.

Tre diversi approcci terapeutici sono attualmente maggiormente utilizzati per il trattamento del fibroma uterino: Terapia Medica, Intervento Chirurgico (Isterectomia, Miomectomia), Intervento ad ultrasuoni e/o Embolizzazione.

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La terapia medica del Fibroma Uterino

Il trattamento farmacologico in molti casi è sicuramente in grado di alleviare la sintomatologia correlata alla presenza del fibroma. Tuttavia, l’approccio con terapia medica (anti infiammatori e/o antiemorragici) deve essere considerato presidio esclusivamente palliativo ed in grado di ridurre per un periodo limitato la sintomatologia. La terapia ormonale, un altro tipo di terapia quindi, può invece essere presa in in esame in casi ben selezionati dove la somministrazione costante di questi farmaci può ottenere effetti, sebbene reversibili dal momento dell’interruzione della stessa, anche sulle dimensioni della stessa massa tumorale.

Le terapie ormonali di gran lunga più utilizzate allo stato attuale sono le seguenti:

1) Terapia con progestinici: utilizzata principalmente allo scopo di bloccare la menometrorragia.

2) Terapia con estroprogestinici: anch’essi utilizzati principalmente per interrompere o almeno diminuire sanguinamenti. Questa terapia è generalmente utilizzata per periodi brevi a causa della presenza della componente estrogena.

3) Terapia con analoghi del GnRH: questa terapia è in grado di garantire nella maggior parte delle pazienti una riduzione della massa tumorale oltre che l’interruzione dei sanguinamenti. Utilizzata per molti anni come presidio pre-operatorio nell’ottica di facilitare il compito del chirurgo durante l’intervento di asportazione del fibroma (riduzione di volume e riduzione del sanguinamento del fibroma durante l’intervento) è ormai stata ampiamente superata da farmaci meno impegnativi che non presentano la lunga serie di effetti collaterali che questa terapia inevitabilmente comportava (vampate di calore, l’atrofia vaginale, perdita di massa ossea (osteoporosi), aumento del colesterolo e di LDL con aumento di circa sei-sette volte del tasso di infarto cardiaco). La terapia con analoghi, inoltre, era temporanea in quanto gli effetti sulle dimensioni del fibroma e sulla sua vascolarizzazione terminavano inesorabilmente una volta che ne veniva sospesa l’assunzione. Il fibroma in poco tempo tornava quindi alle dimensioni di partenza, continuando a provocare i sintomi normalmente presenti prima dell’inizio della terapia. Gli effetti collaterali sovradescritti potevano inoltre limitarne il periodo di assunzione (generalmente la terapia veniva assunta per un periodo massimo di 6 mesi). Recentemente è stato introdotto in commercio una molecola chiamata ulipristal acetato che non è altro che un” modulatore selettivo del recettore del progesterone” (nome commerciale Esmya). Questo farmaco agisce bloccando il recettore del progesterone, deputato al controllo della crescita della mucosa dell’utero. Purtroppo, il progesterone può, in alcune pazienti, stimolare la crescita dei fibromiomi. Tuttavia, nonostante l’ulipristal acetato vada a bloccare l’azione del progesterone all’interno dell’utero questa terapia ha mostrato una efficacia ridotta in un numero significativo di donne. Inoltre, come per gli analoghi del GnRH, una volta interrotta la sua assunzione (che consiste in uno o due cicli di tre mesi ognuno) i fibromi tendono progressivamente a ricrescere. Rispetto agli analoghi la terapia con ulipristal acetato presenta un numero considerevolmente più limitato di effetti collaterali, rendendo sicuramente questo presidio più accetto alle pazienti.

La terapia chirurgica

Miomectomia:  questa tecnica conservativa consiste nell’asportazione del fibromioma, mantenendo quindi l’utero in sede, e di conseguenza, la sua funzione riproduttiva. tuttavia questa tecnica, particolarmente in quelle pazienti affette da fibromi multipli, è gravata da un tasso di recidiva che in alcune casistiche supera il 30% a due anni. In questi casi il chirurgo è spesso costretto a  reintervenire anche e soprattutto per il ripresentarsi della sintomatologia associata al fibroma. La miomectomia può essere eseguita sia per via  laparotomica (cioè attraverso una incisione chirurgica della parete addominale) sia per via laparoscopica (cioè con l’introduzione di strumenti chirurgici sottili attraverso piccole incisioni addominali) o per via isteroscopica (cioè con l’introduzione attraverso la vagina di uno strumento, il resettoscopio, quindi in assenza di incisioni addominali). Quest’ultima via chirurgica è riservata ai fibromi che aggettano in cavità uterina. La miomectomia per via laparotomica richiede una anestesia generale oltre che lunghi tempi di degenza (circa 5 giorni), tempi di recupero considerevoli (circa 1 mese), rischio, seppur basso, di trasfusioni per eventuali emorragie. Inoltre, la ricostruzione della breccia uterina comporta la successiva formazione di una cicatrice a livello della parete muscolare che non esclude in modo assoluto il rischio di rottura d’utero in gravidanza o durante il travaglio di parto. Recentemente però una direttiva ministeriale vieta la possibilità di morcellare (che in pratica è una sorta di frammentazione) il fibroma sotto guida laparoscopica, ragion per cui l’impiego della laparascopia ora appare  più limitato nel trattamento chirurgico dei fibromi.

Isterectomia: non è altro che la rimozione completa dell’utero, con la perdita, quindi, della capacità riproduttiva. il tasso di mortalità è ormai praticamente nullo con una una morbilità relativamente bassa. Tale intervento sebbene risolutivo è tuttavia altamente demolitivo oltre che considerevolmente stressante per la paziente, sottoposta ad un vero e proprio intervento di chirurgia maggiore. Viene eseguita in anestesia generale, con tempi di ospedalizzazione e di recupero simili alla miomectomia laparotomica.

Isteroscopia: è una procedura chirurgica a bassa invasività e conservativa. Conserva la funzionalità riproduttiva dell’utero; viene riservata ai fibromi che aggettano in cavità uterina (sottomucosi) di diametro massimo di 5 centimetri. Eseguita per via vaginale, quindi in assenza di incisioni della parete addominale, in anestesia spinale, richiede un ricovero di 2 giorni. Il recupero è praticamente immediato. Tale tecnica non crea cicatrici a livello della muscolatura dell’utero in modo da scongiurare i rischi di rottura dell’utero (a livello delle cicatrici chirurgiche) durante una successiva gravidanza.

L’intervento ad ultrasuoni

Ultrasuoni Focalizzati (MRgFUS o IFU): Trattamento non invasivo che utilizza ultrasuoni focalizzati per produrre un importante aumento della temperatura all’interno del fibroma creando una necrosi coagulativa centrale. La paziente viene adagiata sul lettino della Risonanza magnetica in modo da utilizzare questa metodica per orientare perfettamente il fascio di ultrasuoni verso il fibroma. Può avere tempi di esecuzione molto lunghi che a volte arrivano fino a 4 ore consecutive. Richiede quindi uno sforzo notevole della paziente che deve mantenere sul lettino la posizione indicata per un lungo tasso di tempo.

Si esegue in Day Hospital o con degenza di un giorno e teoricamente comporta un rapido recupero. A volte tuttavia il post operatorio può essere tutt’altro che facile. Questa tecnica viene utilizzata per fibromi di dimensioni contenute ed è scarsamente efficace nella fibromatosi diffusa. La tecnica, interessante in casi estremamente selezionati, è tuttavia ancora gravata da una relativa alta percentuale di fallimenti e/o recidive con conseguente ripresa di malattia. Le pazienti da sottoporre ad IFU devono quindi essere attentamente selezionate ed informate che la tecnica può anche esitare in un fallimento. Spesso infatti, in caso di risultati parziali, può essere indicato eseguire una embolizzazione a distanza di pochi mesi per ottenere la completa risoluzione della patologia.

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L’intervento di embolizzazione

L’embolizzazione del fibroma o fibromioma uterino si sta sempre maggiormente confermando dalla metà degli anni ’90 come valida e sicura alternativa terapeutica alla chirurgia vista ormai la chiara evidenza della sua validità nel curare in maniera permanente e definitiva i fibromi.

Differentemente da altre tecniche chirurgiche consente di preservare l’utero in assenza di tutte quelle problematiche e potenziali complicanze correlate ai trattamenti convenzionali. Oltreoceano, in particolare negli USA, l’embolizzazione del fibromioma è considerata la metodica di scelta, ancor prima della rimozione chirurgica della patologia (definita in termini tecnici miomectomia). Questa metodica così mininvasiva (si esegue attraverso un forellino in una arteria inguinale dove si introduce una sottilissima sondina di plastica di 1,6 mm che viene poi veicolata fino al circolo arterioso dell’utero) è effettuata in anestesia locale o in casi selezionati in anestesia epidurale e permette una marcata e definitiva riduzione delle dimensioni del fibromioma in più del 97% dele donne con conseguente cessazione definitiva della sintomatologia correlata (senso di pesantezza, emorragie, dolore, incontinenza etc).

IL PERCORSO

Le donne sono inizialmente visitate dal ginecologo (per un corretto inquadramento clinico allo scopo di poter escluderela presenza di altre patologie: in presenza di menometrorragie a valutarne esattamente l’entità e la durata. Il ginecologo dovrà valutare una serie di parametri ed in particolare la ferritinemia, la sideremia, l’emocromo oltre a richiedere un pap test ed una ecografia pelvica se non di recente esecuzione).

Successivamente l’anestesista provvederà a valutare la paziente per l’eventuale intervento ed infine sarà il radiologo interventista ad esaminare il caso in modo anche da poter illustrare pienamente e con dovizia di particolari la situazione alla paziente. Il radiologo dovrà inoltre illustrare alla paziente tutte le specifiche tecniche del caso. Verrà infine sottoposta alla paziente una informativa con tutte le specifiche dell’intervento.

Terminato il colloquio con tutti i componenti del Team, la paziente viene ammessa in clinica il giorno prima del trattamento per l’esecuzione degli esami ematici (emocromo, gruppo sanguigno, tempo di Quick, PTT, PT, tempo di emorragia, CPK, ed altro) e strumentali. Resterà poi senza assumere cibo dalla mezzanotte del giorno precedente per poi essere trasportata in sala angiografica la mattina successiva.

EMBOLIZZAZIONE. COSA È E COME SI SVOLGE

Come ogni procedura di radiologia interventistica (drenaggi delle vie biliari, angioplastiche arteriose e venose, vertebroplastiche ecc) anche la procedura di embolizzazione del fibroma uterino viene eseguita mediante l’utilizzo della guida fluoroscopica (metodica di radiologia o imaging che si avvale dell’utilizzo in continua di un fascio di raggi X che penetrando il segmento corporeo interessato ne mostra in tempo reale e in modo assolutamente dettagliato l’anatomia ed i movimenti).

Specificatamente, il trattamento di embolizzazione del fibroma uterino consiste nel totale e permanente blocco dell’apporto ematico (o rifornimento sanguigno) dell’utero attraverso l’avanzamento di un piccolo catetere di plastica (in pratica un tubicino) che il radiologo inserisce, dopo una semplice e rapida anestesia locale, con una piccola puntura indolore (non viene eseguito alcun taglio con il bisturi) in un arteria localizzata all’inguine (specificatamente si tratta dell’arteria femorale).

Il piccolissimo tubicino o catetere con uno spessore di circa 1,5-2 mm (i cui movimenti sono costantemente monitorizzati dal radiologo interventista mediante uno schermo collegato all’apparecchio a raggi X) viene poi facilmente veicolato dall’arteria femorale in arteria uterina destra e successivamente in quella di sinistra. A questo punto, si iniettano delle particolari e specifiche particelle sferiche di piccolissime dimensioni (chiamate appunto materiale embolizzante) che ne comportano l’immediata e definitiva occlusione.

Il fibroma, in assenza del normale apporto di sangue, va rapidamente incontro ad una riduzione nelle dimensioni mentre l’utero mantiene la sua normale funzionalità nel tempo. L’intervento ha una durata che varia dai 20 ai 40 minuti, in relazione all’esperienza dell’operatore. È infatti estremamente importante sottolineare che un tempo di scopia (esposizione ai raggi X) limitato (appena qualche minuto) non comporta alcun tipo di danno biologico per la paziente risultando in una dose radiogena sovrapponibile ad un normale esame diagnostico dell’addome (RX diretta addome). Il rischio di un infezione locale o generalizzata legato all’esecuzione della procedura ed il rischio di trasfusioni ematiche post intervento sono praticamente nulli.

Dopo la procedura il paziente rimane ricoverato per due giorni per il trattamento del dolore post operatorio che sebbene può essere presente per circa 24-48 ore è generalmente ben controllato dai farmaci. Può presentarsi nei giorni successivi un leggero senso di affaticamento e un lieve aumento della temperatura corporea. In qualche caso possono verificarsi anche dei lievi sanguinamenti che tendono comunque a scomparire nei mesi successivi. Quando i fibromi hanno un diametro di 10-18 cm è possibile osservare una sintomatologia ritardata in 3°-5° giornata, caratterizzata da dolore pelvico-addominale associato a reazione peritoneale, nausea e febbre.

Tale sintomatologia persiste qualche giorno e assomiglia a una complicanza spontanea dei fibromi: la necrosi asettica. La procedura, come già sottolineato richiede una degenza di circa 48 ore con tempi di recupero che si aggirano intorno 3-5 giorni. La paziente sarà controllata entro 3 mesi dopo aver eseguito un eco-color-doppler. L’efficacia del trattamento è valutata con: anamnesi ed esame obiettivo, tesi a verificare l’evoluzione della sintomatologia emorragica e compressiva; emocromo, per monitorare l’anemia, e CPK per verificare la correlazione tra caduta dei tassi di CPK e riduzione volumetrica del fibroma; eco-color-doppler per seguire la riduzione del volume del fibroma e la scomparsa della rete vascolare peritumorale.

In alcune donne può comunque rendersi necessario un successivo intervento chirurgico (la paziente può non rispondere alla terapia, o rispondere solo parzialmente ) ma in centri di comprovata esperienza, grazie anche ad un’attenta e scrupolosa selezione dei casi, ciò si verifica in meno del 1% delle pazienti.

È tuttavia importante sottolineare che questa percentuale può salire notevolmente (10%-12%) in caso vengano eseguite procedure di embolizzazione in pazienti trattati in centri con esperienza iniziale o limitata. Infine è fondamentale sottolineare che l’intervento di embolizzazione non preclude in maniera più assoluta la fertilità. Sono infatti ormai molte le testimonianze di pazienti trattati con embolizzazione che riportano una o più gravidanze dopo l’intervento.

Una volta eseguito l’intervento è strettamente necessario che il paziente si sottoponga a dei controlli periodici (Ecografia o Risonanza Magnetica) a sei mesi, un anno e due anni di distanza dalla procedura per valutare i risultati ottenuti ed escludere recidive potenziali o in atto. L’efficacia sulle menometrorragie è immediata, mentre per apprezzare la riduzione volumetrica del fibroma uterino bisogna attendere 4-6 mesi: il processo inizia non prima di 2-3 settimane e prosegue per 8-12 mesi soprattutto per i fibromi di notevoli dimensioni.

In conclusione, ad oggi l’embolizzazione uterina è da considerarsi tecnica estremamente efficace e gravata da una percentuale di complicanze bassissime, paraticamente nulle, se comparata con le altre tecniche per il trattamento del fibroma. È infatti ormai universalmente riconosciuto che l’embolizzazione è tecnica ESTREMAMENTE SICURA che, in mani esperte, non richiede mai trasfusioni o successivi interventi chirurgici in urgenza e, inoltre, non compromette in alcun modo la fertilità.

RISULTATI

Ad oggi, il numero delle pazienti embolizzate è costantemente in aumento. Secondo le più recenti casistiche la sintomatologia correlata al fibroma (incontinenza urinaria, menorragia, senso gravativo addomino-pelvico ) scompare nel 83-98% delle pazienti trattate con embolizzazione.

Ad un anno dal trattamento di embolizzazione le dimensioni complessive dell’utero si riducono mediamente di almeno il 50%. In alcuni casi è possibile osservare la completa e definitiva regressione della massa tumorale. È tuttavia importante sottolineare che in alcune casistiche viene riportata dagli autori una risposta parziale al trattamento, una ricrescita dei fibromi trattati o la crescita di nuovi fibromi (6-9% dei casi). Questo tasso di recidiva di malattia è sensibilmente inferiore in centri di comprovata esperienza con tassi di recidiva limitati a qualche caso sporadico.

Il tasso di complicanze maggiori dopo embolizzazione è molto limitato, < al 1% in centri di provata esperienza. L’amenorrea temporanea o permanente risulta essere pari a circa il 5% e il 2% rispettivamente, ed è complicanza maggiormente presente nelle pazienti di età superiore ai 50 anni mentre risulta essere estremamente rara in donne con eta’ inferiore ai 35 anni (incidenza pari allo 0,03%).

Se poi vengono comparate le possibili complicanze dell’embolizzazione con quelle delle altre tecniche per il trattamento chirurgico (isterectomia, miomectomia per via laparoscopica o laparotomica) o mininvasivo del fibroma uterino, l’embolizzazione risulta in assoluto la tecnica gravata dalle minori complicanze sia in sede di intervento che nel post operatorio.

È opinione comune ormai che per il bassissimo tasso di invasività di questa tecnica che per l’alto successo tecnico (in assenza di vere complicanze), l’embolizzazione si appresti a diventare la prima opzione per il trattamento del fibroma e della fibromatosi uterina anche in Europa, come del resto sta ormai accadendo negli USA dove questa tecnica è ormai ampiamente diffusa.

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I casi clinici

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L’immagine mette in evidenza le varie tipologie di fibromi. In particolare l’embolizzazione è particolarmente efficace per i fibromi intramurali e transmurali, e cioè quei fibromi ubicati nella parete uterina. Tuttavia anche i fibromi sottosierosi e sottomucosi possono essere trattati mediante embolizzazione anche se, in questo caso è richiesta una valutazione più accurata.

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Esame di Risonanza Magnetica in proiezione sagittale che evidenzia voluminoso fibroma intramurale che coinvolge l’utero in toto. La vescica appare altamente compressa dalla voluminosa massa fibromatosa, formazione che appare coinvolgere tutta la piccola pelvi (o addome inferiore). La Risonanza Magnetica è da considerarsi l’esame principale (gold standard) nella valutazione della patologia fibromatosa nell’ottica di un intervento di embolizzazione uterina.

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Caso Clinico 1A. Voluminoso fibroma delle dimensioni di circa 12 cm che coinvolge tutto l’utero e che si estende quasi al quarto spazio intervertebrale. La paziente di 47 anni si era rivolta al nostro centro per la presenza di numerosi sintomi, quali senso di pesantezza all’addome, ciclo estremamente abbondante con severa anemizzazione e compressione sulla vescica. In particolare le era stata prospettata come unica alternativa la totale asportazione dell’utero.

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Caso Clinico 1B. Dopo embolizzazione si osserva una netta riduzione della formazione fibromatosa che appare di pochi centimetri. La paziente che era stata già destinata all’asportazione dell’utero presso il presidio medico che fino a quel momento la teneva in cura ha mostrato, dopo il trattamento, la totale regressione di tutta la sintomatologia associata ed è arrivata normalmente alla menopausa dopo 7 anni in assenza di alcun disturbo per tutto il periodo post embolizzazione.

I video approfondimenti

Intervista al dott. Tommaso Lupattelli
Introduzione all'embolizzazione nel trattamento del fibroma uterino.
Embolizzazione: per saperne di più
Intervista al dott. Tommaso Lupattelli.
L’embolizzazione dei miomi uterini
Un centro di eccellenza per la diagnosi e il trattamento di questa patologia.
L’embolizzazione del Fibroma Uterino
Estratto da Linea della Salute.
L’embolizzazione del Fibroma Uterino
Estratto da Pomeriggio 5 del 04/02/2014.
L’embolizzazione del Fibroma Uterino
Estratto da Mattino 5 del 08/05/2013.
Intervento di embolizzazione
Intervento di trattamento tramite embolizzazione di fibroma uterino.
Intervento di embolizzazione
Intervento di trattamento tramite embolizzazione di fibroma uterino.

Per approfondire

I medici di riferimento

Dottor Tommaso Lupattelli

SPECIALISTA IN RADIOLOGIA INTERVENTISTICA E CHIRURGIA VASCOLARE
Bologna - Catania - Milano - Roma

Il Dr. Tommaso Lupattelli si laurea nel 1999 in medicina e chirurgia con lode. Si specializza in Radiologia e Radiologia Interventistica e successivamente in Chirurgia Vascolare. Ha nel corso di questi anni sviluppato qualificate competenze nella rivascolarizzazione endovascolare di arto inferiore, carotide e vene giugulari ( CCSVI). Il Dr Tommaso Lupattelli ha inoltre sviluppato grande esperienza nell' embolizzazione. Esegue questa tecnica per fibroma uterino, adenomiosi, prostata, emorroidi, malformazioni vascolari, varicocele maschile e femminile, aneurisma, neoplasia benigna e maligna. Ha tenuto numerosi corsi di angioplastica ed embolizzazione in qualità di docente e proctor sulla rivascolarizzazione in Europa e all’estero. Ha al suo attivo la progettazione e realizzazione di alcuni materiali per angioplastica tuttora utilizzati in Europa, Asia ed America Centrale.